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€ 164,00 in più al mese per i docenti precari che hanno stipulato più di 2 contratti in un anno!


Si moltiplicano orami le sentenze che  confermano il diritto del personale precario che svolge supplenze brevi e temporanee a recuperare mensilmente da € 164,00 euro a € 175,50 (dal 1° marzo 2018 con gli incrementi previsti dal CCNL 2016-2018) per la Retribuzione Professionale Docenti (RPD) non corrisposta negli anni scolastici in cui hanno stipulato 2 o più contratti.

Identico diritto, il Compenso Individuale Accessorio (CIA) per le fasce A, AS, B, C del personale ATA, da 58,50 euro a 64,50 Euro mensili. IVREA Sentenza n. 35/2019 pubbl. il 28/02/2019 
IVREA Sentenza n. 34/2019 pubbl. il 28/02/2019 
TORINO Sentenza n. 294/2019 pubbl. il 13/02/2019 
TORINO Sentenza n. 417/2019 pubbl. il 13/05/2019 
TORINO Sentenza n. 478/2019 pubbl. il 19/03/2019
GENOVA Sentenza n. 338/2019 pubbl. il 10/04/2019 
TORINO Sentenza n. 633/2019 pubbl. il 03/06/2019   
TORINO Sentenza n. 861/2019 pubbl. il 16/05/2019 
TORINO Sentenza n. 892/2019 pubbl. il 22/05/2019 
TORINO Sentenza n. 919/2019 pubbl. il 24/05/2019 
TORINO Sentenza n. 943/2019 pubbl. il 30/05/2019 
TORINO Sentenza n. 1037/2019 pubbl. il 13/06/2019
TORINO Sentenza n. 1036/2019 pubbl. il 13/06/2019

Nelle numerose sentenze ottenute a seguito dei ricorsi, targati ANIEF, e patrocinate dagli Avvocati Giovanni Rinaldi, Fabio Ganci e Walter Miceli infatti, si evidenzia come “non essendo provate significative diversificazioni nello svolgimento dell’attività lavorativa fra assunti a tempo indeterminato e supplenti temporanei, anche per il personale ingaggiato per espletare incarichi di durata inferiore a quella annuale si pongono le medesime finalità di valorizzazione della funzione docente e di riconoscimento del ruolo svolto dagli insegnanti, in relazione alle quali il trattamento accessorio è stato istituito

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Precari siciliani. La Cassazione ordina i risarcimenti !

precariCON LE SENTENZE 25672, 25673, 25674 E 25675 DEL 27 OTTOBRE 2017 LA CORTE DI CASSAZIONE SMENTISCE I GIUDICI SICILIANI CHE AFFERMAVANO CHE AL RAPPORTO DI LAVORO DEI LAVORATORI PRECARI DELLA REGIONE NON SI APPLICAVA LA NORMATIVA  DI TUTELA CONTRO GLI ABUSI NEI CONTRATTI A TERMINE.

Vittoria dei lavoratori precari a termine del Comune di Naro (Ag) che si erano rivolti al Tribunale di Agrigento denunciando che da anni lavoravano per il loro comune svolgendo mansioni ordinarie, previste dall’organico dell’Ente utilizzatore. Chiedevano pertanto che il giudice riconoscesse la natura a tempo indeterminato del loro rapporto con il Comune o, in subordine, liquidasse loro il danno ai sensi dell’art. 36 del testo unico del pubblico impiego (d.lgs. 165/2001).Il giudice del Tribunale di Agrigento aveva rigettato il ricorso dei lavoratori a termine richiamando l’art. 77 della legge siciliana n. 17 del 2004, che dispone la non applicabilità del d.lgs. 368/2001 ai contratti stipulati in base all’art. 12 co. 2 seconda parte, della legge regionale Sicilia n. 85 del 1995, ai sensi del quale taluni soggetti istituzionali, fra cui i Comuni, possono utilizzare con contratto di diritto privato a tempo determinato e/o parziale, per la realizzazione di progetti di utilità collettiva, i soggetti di cui all’art. 1, commi 2 e 3, utilmente inseriti nelle graduatorie provinciali” ossia, come si legge nella sentenza, “i lavoratori provenienti dal c.d. bacino dei lavoratori socialmente utili”.

Secondo il Tribunale dunque, in altri termini, i contratti a termine dei precari siciliani, derivando da precedenti rapporti di lavoro socialmente utili, erano affetti da una sorta di difetto genetico: non erano ordinari rapporti di lavoro ma di “workfare”, ossia rapporti costituiti a soli fini assistenziali, finalizzati a  far lavorare soggetti che altrimenti non avrebbero trovato uno sbocco lavorativo. Peccato che, come si è detto, i lavoratori erano in realtà impiegati su posti liberi e vacanti nel comune di adibizione, in sostituzione di lavoratori che non erano mai stati assunti, anche perché ds decine di anni non si sono mai fatti concorsi in Sicilia, anche solo per sostituire i lavoratori che andavano in pensione. Un’evidente contraddizione che non veniva spiegata nella sentenza. Si ricorda che, del resto, il medesimo giudice ha poi sollevato il 7 giugno 2017 in analoga causa una questione di incostituzionalità dell’art. 77 citato che pende tuttora in Corte costituzionale (procedimento 156/2017).

La sentenza suddette che aveva rigettato la domande dei lavoratori invocando l’art. 77 di cui si è detto erano poi state impugnate in sede di appello.Va precisato che, negli anni precedenti la Corte di appello di Palermo aveva sistematicamente rigettato tutte le domande formulate dai precari siciliani abusati nell’utilizzo dei contratti a termine affermando l’inconvertibilità dei rapporti e statuendo che non spettava loro neppure il risarcimento del danno per il fatto che questo non era stato provato dai lavoratori, secondo la giurisprudenza di legittimità all’epoca vigente (così implicitamente applicando, peraltro, l’art. 36 del d.lgs. 165/2001 nei termini all’epoca interpretato dalla Corte di cassazione con la sentenza 10127/2012), poi censurata dalla Corte europea con l’ordinanza Papalia del 12.12.13 (ECLI:EU:C:2013:873) e la successiva sentenza Mascolo del 24.11.14 (ECLI:EU:C:2014:2401).

E’ chiaro che, dopo la sentenza 5072 del 15 marzo 2016 delle Sezioni unite della Cassazione, la Corte di Palermo si sarebbe vista costretta a risarcire il danno per l’abuso incontrovertibilmente operato nella reiterazione dei rapporti a tempo determinato dei precari siciliani, rinnovati per periodi superiori al decennio.

A questo punto la Corte palermitana ha allora pensato bene di sposare la tesi del Tribunale di Agrigento così eliminando trancant ogni diritto dei lavoratori precari.

La relativa sentenza di appello  è stata immediatamente impugnata in Corte di cassazione e, anche per il fatto che nelle successive decisioni, la Corte di appello palermitana aveva iniziato a condannare i lavoratori al pagamento delle spese del processo, lo studio ha chiesto ed ottenuto dal Presidente della sezione lavoro della Cassazione che la questione, che riguardava oltre 25.000 lavoratori siciliani, venisse decisa in tempi brevi.Il Presidente ha acconsentito a tale richiesta e l’udienza si è tenuta il 12 settembre 2017: tempi incredibili per la Corte di cassazione.

Con quattro sentenze, dalla 25672 alla 25675 del 27 ottobre 2017, tutte uguali, la Corte di cassazione ha smontato, anche con una certa crudeltà, l’operazione attuata dalla magistratura siciliana. E’ qui sufficiente sottolineare quanto detto al punto 20 della sentenza: “La Corte d’appello erroneamente ha fatto discendere la non applicabilità della disciplina dell’accordo quadro dei contratti per cui è causa (…)  senza un compiuto ed esteso vaglio dei rapporti di lavoro i questione con riguardo non solo alle fonti, ma all’atto negoziale costitutivo e al concreto formarsi degli stessi in ragione dell’attività prestata, senza effettuare quindi, correttamente il processo si sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, disciplinata dal legislatore, al fine di ravvisare l condizioni di esclusione dell’applicabilità dell’accordo quadro, così dando luogo, nei sensi indicati nella presente motivazione, ai vizi prospettati dal ricorrente nel primo motivo del ricorso (cfr. Cass. , 18785 del 2016). Va ricordato che il giudice nazionale costituisce un elemento essenziale nell’ordinamento comunitario: situato all’”incrocio” di diversi sistemi giuridici, esso è in grado di fornire un rilevante contributo all’applicazione effettiva del diritto comunitario e, in definitiva, allo sviluppo del processo di integrazione europea (CGUE sentenza 30 settembre 2003, Gerhard Köbler, in causa C-224/01)”.Per il momento, come sempre, la Cassazione esclude la conversione, ma questo studio, per le ragioni più volte dette, non cesserà di perseguire anche questo obiettivo, ritenuto da chi scrive ben possibile dall’ordinamento nazionale essendo inipotizzabile che il semplice risarcimento del danno, soprattutto nella ridotta misura ad oggi stabilita dalla ricordata sentenza 5072/2016 delle Sezioni unite (comunque tuttora all’esame della Corte europea), possa costituire una seria misura alternativa che presenti le caratteristiche di equivalenza, dissuasività ed effettività da sempre affermate dalla Corte europea, sino alla alla sentenza Mascolo, che aggiunge alle caratteristiche ricordate l’aggettivo “energica”.

Si apre comunque, per i precari siciliani una stagione proficua per la tutela dei loro diritti, anche sulla strada della pronuncia 17101 del 2017 della Cassazione che riguarda i lavoratori socialmente utili.

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70 sentenze in 60 giorni: il Miur va a picco.

diritto-scolasticoA seguito della Sentenza della Corte di Cassazione n. 22558 del 7 novembre 2016 che questo studio legale ha ottenuto, dopo una lunga battaglia presso i tribunali, è stato definitivamente sancito il diritto alla parità di trattamento tra docenti di ruolo e docenti precari con conseguente diritto per i precari a percepire gli scatti di anzianità mai corrisposti. Sulla scia di tale principio è avuto un exploit di sentenze che ha fatto concludere la stagione lavorativa primaverile con un risultato straordinario. Sono infatti ben 70 le sentenze, che l’Avv. Giovanni Rinaldi ed i colleghi Walter Miceli e Fabio Ganci (team legali Anief per il Piemonte) hanno ottenuto in appena 2 mesi contro il Ministero della Pubblica Istruzione. È stato difeso il personale della scuola in toto: sia il personale docente sia il personale Ata.

In primis, per quanto attiene il personale di ruolo le carriere di docenti e Ata non erano state valutate per intero come meritavano. I giudici hanno ribadito, giorno dopo giorno, che per il personale di ruolo nella scuola debba essere riconosciuto il diritto all’integrale ricostruzione della carriera maturata durante il periodo di pre-ruolo, in quanto le norme legislative e contrattuali che impongono la valutazione in misura inferiore sono in contrasto con la normativa europea.

In secundis, per il personale precario, in assenza di ragioni oggettive di deroga al principio di non discriminazione, le sentenze hanno confermato che “sussiste il diritto dei ricorrenti alla progressione professionale retributiva, negli stessi termini previsti per il personale di ruolo”.soldiIl Ministero della Pubblica Istruzione, malgrado le centinaia di sentenze nelle quali risulta inevitabilmente e ininterrottamente soccombente, negli anni reitera un’illecita quanto odiosa discriminazione a discapito di tutti i precari della scuola, docenti e Ata. Diverse vittorie si sono avute anche nel campo della mobilità del personale scuola, in seguito agli errori dell’algoritmo che doveva regolare i trasferimenti per l’anno scolastico 2016/2017, e del risarcimento del danno per la reiterazione abusiva dei contratti a termine, a seguito della Sentenza della Corte di Cassazione n. 22552/2016. Due mesi che costano al Ministero della Pubblica Istruzione mezzo milione di euro.

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Tribunali di Torino e Ivrea: €70.000 per 22 docenti!

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Con ben sette sentenze ottenute dall’ANIEF presso i Tribunali del Lavoro di Torino e Ivrea, il Ministero dell’Istruzione è stato condannato per discriminazione e violazione di norme comunitarie nei confronti di 22 docenti precari cui non aveva mai riconosciuto il diritto alle progressioni di carriera e all’anzianità di servizio maturata in ragione dei tanti contratti a termine succedutisi nel corso degli anni.

Gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli e Giovanni Rinaldi hanno ottenuto una condanna dell’Amministrazione a più di 70.000 Euro di risarcimento.

Secondo la sentenza “in assenza di ragioni oggettive di deroga al principio di non discriminazione sussiste il diritto dei ricorrenti alla progressione professionale retributiva, negli stessi termini previsti per il personale di ruolo” ribadendo che “non possono esservi dubbi sul fatto che l’Ordinamento comunitario prescrive come regola la parità di trattamento tra lavoratori a termine e lavoratori a tempo indeterminato nel settore privato come in quello pubblico”.

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Tribunale del Lavoro di Torino con ben cinque sentenze che condannano l’Amministrazione a corrispondere ai ricorrenti un totale di oltre 50.000 Euro per le progressioni stipendiali mai riconosciute

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La battaglia dell’ANIEF a tutela dei diritti dei lavoratori precari della scuola continua a raccogliere successi in tribunale e a vedere il Ministero dell’Istruzione nuovamente condannato per aver discriminato i docenti a tempo determinato non riconoscendo loro la medesima progressione stipendiale corrisposta ai docenti di ruolo. Gli Avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli e Giovanni Rinaldi danno una nuova sonora lezione al MIUR e ottengono ragione presso il Tribunale del Lavoro di Torino con ben cinque sentenze che condannano l’Amministrazione a corrispondere ai ricorrenti un totale di oltre 50.000 Euro per le progressioni stipendiali mai riconosciute.

Le sentenze, ottenute grazie alla grande professionalità dei legali ANIEF, ricordano che “il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato è stato sancito, nell’ordinamento comunitario, dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato del 18.3.1999, trasfuso nella Direttiva 1999/70/CE del 28.6.1999, secondo la quale “per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato” e accolgono in toto le tesi del nostro sindacato ribadendo che “il contrasto tra le previsioni del diritto comunitario e le regole dettate dalla normativa interna speciale del settore scolastico, non giustificato da “ragioni oggettive”, deve essere risolto dal giudice nazionale in favore delle prime, in ragione della loro superiorità nella gerarchia delle fonti, attraverso la disapplicazione delle norme interne confliggenti”.

Le ragioni addotte dal MIUR per giustificare la palese disparità di trattamento posta in essere nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, infatti, sono state ritenute senza “alcuna correlazione logica con la negazione della progressione retributiva in funzione dell’anzianità di servizio maturata, che risponde unicamente ad una finalità di risparmio di spesa pubblica, comprensibile ma del tutto estranea alle “ragioni oggettive” nell’accezione di cui alla clausola 4, punto 1, dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato”.

Alla luce della giurisprudenza comunitaria, dunque, il Tribunale del Lavoro di Torino ha ritenuto “illegittime le norme del CCNL del comparto scuola che attribuiscono il diritto alla progressione nelle posizioni stipendiali unicamente al personale assunto con contratto a tempo indeterminato e che riconoscono l’anzianità pregressa ai lavoratori precari immessi in ruolo soltanto con decorrenza dalla data di immissione in ruolo” condannando, di conseguenza, il Ministero dell’Istruzione a corrispondere ai ricorrenti le progressioni stipendiali mai riconosciute per un totale, comprensivo di interessi, che supera i 50.000 Euro e con ulteriore condanna al pagamento delle spese di giudizio quantificate in complessivi 11.614 Euro oltre accessori.

L’ANIEF ricorda a tutti i lavoratori precari della scuola che è ancora possibile ricorrere per vedersi finalmente riconosciuti i propri diritti e per ottenere pari dignità retributiva rispetto ai docenti a tempo indeterminato.

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Pioggia di sentenze in Piemonte

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I tribunali del Piemonte accolgono i ricorsi ANIEF, patrocinati dagli avvocati Fabio Ganci, Walter Miceli e Giovanni Rinaldi, e riconoscono la violazione delle direttive comunitarie e l’illecita disparità di trattamento posta in essere dal Ministero dell’Istruzione, condannandolo a un risarcimento danni complessivo che supera i 40.000 Euro.

Con otto sentenze di identico tenore, i Tribunali del Lavoro di Torino e Vercelli danno piena ragione alle tesi patrocinate con competenza dai legali ANIEF e a riconoscere che “contrariamente a quanto dedotto dal MIUR, ricorrono tutti i presupposti per l’applicazione del principio di non discriminazione tra lavoratori di cui all’art. 4 dell’Accordo Quadro attuato con Direttiva 1999/70/CE”, non ravvedendo “nessuna ragionevole giustificazione di una disparità di trattamento economico”.

Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, così come sostenuto dai nostri legali in udienza, “l’unico limite che giustifica un trattamento differenziato e cioè la sussistenza di ragioni oggettive, non può essere ravvisato dalla mera circostanza che un impiego sia qualificato di ruolo in base all’ordinamento interno e presenti alcuni aspetti caratterizzanti il pubblico impiego”.

Le sentenze evidenziano come “La Corte ha definito la nozione di ragioni oggettive, tali da giustificare una diversità di trattamento tra assunti a termine assunti di ruolo, nel senso che si deve trattare di “elementi precisi e concreti (…) che possono risultare segnatamente dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi i contratti a tempo determinato” (Cfr. Corte di Giustizia sentenza Del Cerro cit., punti da 49 a 58)”.

Secondo i legali dell’ANIEF, il Ministero dell’Istruzione non è mai stato in grado di dimostrare in udienza quali fossero questi elementi “precisi e concreti” per continuare a retribuire i lavoratori precari della scuola con il trattamento economico iniziale senza riconoscere alcun valore ai tanti anni di servizio prestati con contratto a tempo determinato. Per tali ragioni, quindi, gli otto ricorsi sono stati accolti con relativa condanna del MIUR a riconoscere ai nostri iscritti “il livello stipendiale corrispondente alla anzianità di servizio maturata in virtù dei contratti a termine oggetto di causa” ed al pagamento in loro favore di tutte differenze retributive maturate e mai corrisposte, oltre alla maggior somma tra interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole mensilità al saldo. La soccombenza in giudizio è costata al Ministero dell’Istruzione anche la condanna al pagamento delle spese di lite quantificate in un totale di 9.600 Euro oltre accessori.

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Vittoria in Corte di Giustizia Europea

 

corteQuella scritta oggi a Lussemburgo è una pagina storica che pone fine alla precarietà nella scuola e in tutto il pubblico impiego: ora è assodato che non esistono ragioni oggettive per discriminare personale docente e Ata assunto a tempo determinato nella scuola italiana dal 1999. I giudici sovranazionali hanno spiegato che la direttiva comunitaria osta a una normativa nazionale che autorizza, in attesa dell’assunzione del personale di ruolo, il rinnovo dei posti vacanti e disponibili, senza indicare tempi certi ed escludendo possibilità di ottenere il risarcimento danno. Pertanto, ha spiegato la Corte, non esistono criteri oggettivi e trasparenti per la mancata assunzione del personale con oltre 36 mesi di servizio, né si prevede altra misura diretta a impedire il ricorso abusivo al rinnovo dei contratti. È una sentenza che coinvolge un numero altissimo di lavoratori precari italiani: solo nella scuola, l’Anief ha calcolato, sulla base dei dati Miur e Inps, che sono infatti più di un milione e mezzo le supplenze annuali (fino al 31 agosto) e al termine delle attività didattiche (fino al 30 giugno) conferite in questi anni ai docenti, a fronte di 250mila immissioni in ruolo e 300mila pensionamenti: “ora quei precari devono essere tutti assunti e risarciti” Nel 2010 si attiva la prima procedura d’infrazione, ancora in corso, contro lo Stato italiano per la mancata stabilizzazione di un supplente ATA; negli anni successivi sono in migliaia i precari docenti e ATA che inoltrano agli uffici della Commissione denunce circostanziate sulla violazione della normativa comunitaria grazie al sindacato Anief e al suo Presidente Prof. Marcello Pacifico. 10830942_10203842035065297_3474466532591656603_oLa Legge italiana 106/2011 cerca di mettere un argine e deroga espressamente all’esecuzione del diritto dell’Unione per via di ragioni oggettive che nell’estate del 2012 sono state individuate dai giudici di Cassazione nella particolare condizione della scuola italiana: per il nostro Stato, i precari sarebbero addirittura “fortunati”, perché con il servizio accumulano in graduatoria punti per entrare di ruolo. Mentre gli organici non sarebbero prevedibili e il pareggio di bilancio imporrebbe risparmi. “Tutti motivi – sottolinea Pacifico – che la Corte europea nelle cinque cause riunite oggi e rinviate dal giudice Coppola del lavoro di Napoli e dalla Consulta ha ritenuto inesistenti, condividendo le tesi dell’Avvocato generale, della stessa Commissione e dei legali Anief che rappresentano i ricorrenti: in primo luogo, il fare punteggio non garantisce l’immissione in ruolo come si è dimostrato con i numeri forniti dai legali dell’Anief; in secondo luogo, sempre dalle carte risultano ogni anno chiamati centinaia di migliaia di supplenti; infine, le ragioni finanziarie non possono comprimere diritti inalienabili, ancorché vere visto che il costo della chiamata dei precari avrebbe di fatto aumentato di due terzi la spese corrente”. “Il Governo, temendo le conseguenze della sentenza, è già corso ai ripari: nel piano di riforma “La Buona Scuola”  ha previsto un piano di assunzioni di tutti i docenti inseriti nelle Gae (150mila), principio ribadito nel disegno di legge di stabilità 2015. Eppure rimangono esclusi i 100mila docenti che sono abilitati ma non inclusi nelle Gae nonché i circa 20mila ATA chiamati in supplenza annuale che potranno ricorrere al giudice del lavoro. Ma anche chi è stato assunto può portare in tribunale lo Stato italiano per aver violato sistematicamente le norme comunitarie”. 10697346_10203835483581514_8410417139047956150_oMa l’Anief non si ferma e annuncia ricorsi per l’applicazione del principio della parità di trattamento impugnando i decreti di ricostruzione di carriera che riconoscono solo parzialmente il servizio pre-ruolo, come la tabella di valutazione dei titoli dei servizi delle domande di mobilità. Sarà richiesto, come già riconosciuto dalle Corti di Appello, il pagamento degli scatti di anzianità per il periodo di precariato nonché le mensilità estive per un ammontare che potrà essere superiore a 20mila euro. Il giovane sindacato impugnerà anche il CCNL del 4 agosto 2011 perché costringe i neo-assunti dopo il 2011 a percepire uno stipendio da precari praticamente a vita, considerato l’accordo sindacale che garantisce l’invarianza finanziaria contro una precisa sentenza della stessa Corte di giustizia e le intenzioni del Governo di abolire gli scatti di anzianità.

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Corte di Giustiza Europea: Storica Sentenza Mascolo del 24 novembre 2014

1375904_1015045365189115_7460829884768065968_nVittoria storica del sindacato ANIEF, cinque anni dopo la denuncia alla stampa e un contenzioso avviato presso le Corti del lavoro per migliaia di supplenti. Le norme italiane sulla scuola violano la direttiva comunitaria.

Ora 250mila precari possono chiedere la stabilizzazione e risarcimenti per due miliardi di euro, oltre agli scatti di anzianità maturati tra il 2002 e il 2012 dopo il primo biennio di servizio e le mensilità estive su posto vacante. Coinvolto tutto il pubblico impiego: il sindacato avvia ricorsi anche per precari Afam, Sanità, Regioni, Enti locali.

“Quella scritta oggi a Lussemburgo è una pagina storica che pone fine alla precarietà nella scuola e in tutto il pubblico impiego: ora è assodato che non esistono ragioni oggettive per discriminare personale docente e Ata assunto a tempo determinato nella scuola italiana dal 1999”. Così sintetizza Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo Confedir, la decisione dei giudici di Lussemburgo dopo la lettura della sentenza avvenuta stamane presso la Corte di Giustizia europea sull’abuso dei contratti a termine.

I giudici sovranazionali hanno spiegato che la direttiva comunitaria osta a una normativa nazionale che autorizza, in attesa dell’assunzione del personale di ruolo, il rinnovo dei posti vacanti e disponibili, senza indicare tempi certi ed escludendo possibilità di ottenere il risarcimento danno. Pertanto, ha spiegato la Corte, non esistono criteri oggettivi e trasparenti per la mancata assunzione del personale con oltre 36 mesi di servizio, né si prevede altra misura diretta a impedire il ricorso abusivo al rinnovo dei contratti.

È una sentenza che coinvolge un numero altissimo di lavoratori precari italiani: solo nella scuola, l’Anief ha calcolato, sulla base dei dati Miur e Inps, che sono infatti più di un milione e mezzo le supplenze annuali (fino al 31 agosto) e al termine delle attività didattiche (fino al 30 giugno) conferite in questi anni ai docenti, a fronte di 250mila immissioni in ruolo e 300mila pensionamenti: “ora quei precari devono essere tutti assunti e risarciti”, sottolinea Pacifico.

“Nel 2010 – continua il sindacalista, che ripercorre il lungo iter giudiziario avviato proprio dall’Anief – si attiva la prima procedura d’infrazione, ancora in corso, contro lo Stato italiano per la mancata stabilizzazione di un supplente ATA; negli anni successivi sono in migliaia i precari docenti e ATA che inoltrano agli uffici della Commissione denunce circostanziate sulla violazione della normativa comunitaria”.

La Legge italiana 106/2011 cerca di mettere un argine e deroga espressamente all’esecuzione del diritto dell’Unione per via di ragioni oggettive che nell’estate del 2012 sono state individuate dai giudici di Cassazione nella particolare condizione della scuola italiana: per il nostro Stato, i precari sarebbero addirittura “fortunati”, perché con il servizio accumulano in graduatoria punti per entrare di ruolo. Mentre gli organici non sarebbero prevedibili e il pareggio di bilancio imporrebbe risparmi.

“Tutti motivi – sottolinea Pacifico – che la Corte europea nelle cinque cause riunite oggi e rinviate dal giudice Coppola del lavoro di Napoli e dalla Consulta ha ritenuto inesistenti, condividendo le tesi dell’Avvocato generale, della stessa Commissione e dei legali Ganci, Miceli, Galleano, De Michele che rappresentano per l’Anief i ricorrenti: in primo luogo, il fare punteggio non garantisce l’immissione in ruolo come si è dimostrato con i numeri forniti dai legali dell’Anief; in secondo luogo, sempre dalle carte risultano ogni anno chiamati centinaia di migliaia di supplenti; infine, le ragioni finanziarie non possono comprimere diritti inalienabili, ancorché vere visto che il costo della chiamata dei precari avrebbe di fatto aumentato di due terzi la spese corrente”.

“Il Governo, temendo le conseguenze della sentenza, è già corso ai ripari: nel piano di riforma “La Buona Scuola” – prosegue il sindacalista – ha previsto un piano di assunzioni di tutti i docenti inseriti nelle Gae (150mila), principio ribadito nel disegno di legge di stabilità 2015. Eppure rimangono esclusi i 100mila docenti che sono abilitati ma non inclusi nelle Gae nonché i circa 20mila ATA chiamati in supplenza annuale che potranno ricorrere al giudice del lavoro. Ma anche chi è stato assunto può portare in tribunale lo Stato italiano per aver violato sistematicamente le norme comunitarie”.

Ma l’Anief non si ferma e annuncia ricorsi per l’applicazione del principio della parità di trattamento impugnando i decreti di ricostruzione di carriera che riconoscono solo parzialmente il servizio pre-ruolo, come la tabella di valutazione dei titoli dei servizi delle domande di mobilità. Sarà richiesto, come già riconosciuto dalle Corti di Appello, il pagamento degli scatti di anzianità per il periodo di precariato nonché le mensilità estive per un ammontare che potrà essere superiore a 20mila euro.

Il giovane sindacato impugnerà anche il CCNL del 4 agosto 2011 perché costringe i neo-assunti dopo il 2011 a percepire uno stipendio da precari praticamente a vita, considerato l’accordo sindacale che garantisce l’invarianza finanziaria contro una precisa sentenza della stessa Corte di giustizia e le intenzioni del Governo di abolire gli scatti di anzianità.

I legali dell’Anief non si fermano qui: grazie alla collaborazione con Radamante, Prodirmed e Confedir hanno annunciato l’avvio di ricorsi per tutti dipendenti e dirigenti medici del pubblico impiego perché la sentenza avrà effetti sul sistema di assunzioni nell’amministrazione pubblica.

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Corte d’Appello di Torino – Sentenza del 03 luglio 2013

Corte d’Appello di Torino – Sentenza del 03 luglio 2013

images aniefLa Corte di Appello di Torino continua a dare piena ragione ai docenti con diversi contratti a termine che in primo grado avevano ottenuto il riconoscimento al pagamento delle differenze retributive.

La pubblicazione della sentenza n. 146 del 2013 della Corte Costituzionale che ha dichiarato in parte inammissibile in parte infondata la questione sugli scatti quindi non ha intaccato l’orientamento della Corte.

Secondo i giudici le logiche di risparmio della spesa pubblica non possono essere annoverate tra le ragioni oggettive necessarie per disapplicare la normativa comunitaria sui contratti a termine, in osservanza alle recenti sentenze della Corte di Giustizia europea: sostenere il contrario, come fa sistematicamente lo Stato italiano con i precari della scuola, significa continuare a violare la clausola 4 della direttiva 1999/70/CE, recepita dall’art. 6 del d.lgs. 368/01, creata dal legislatore sovranazionale proprio per far prevalere il principio di non discriminazione.

 Avv. Giovanni Rinaldi

Diritto Scolastico

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Corte Appello Torino. Rigettati altri 6 appelli del MIUR, confermati gli scatti biennali ai docenti precari.

Corte d’Appello di Torino: sugli scatti biennali ha ragione l’ANIEF; ‘illogiche’ le argomentazioni del MIUR

foto gioRigettati altri 6 appelli del MIUR contro le sentenze di primo grado ottenute dall’ANIEF a Torino. Le argomentazioni del Ministero sono state ritenute completamente infondate anche dai Giudici di secondo grado ed è stata ribadita la disparità di trattamento retributivo posta in essere a discapito dei precari della scuola in palese violazione della normativa comunitaria. L’Avv. Giovanni Rinaldi dell’ANIEF, patrocinando i diritti dei nostri iscritti sul territorio, ottiene vittoria completa per i suoi assistiti e una nuova condanna del MIUR al pagamento delle spese di lite.

I Giudici della Corte d’Appello di Torino, ormai, non hanno dubbi e continuano a rigettare gli appelli del MIUR che si ostina a non voler riconoscere gli scatti biennali ai docenti precari. Analizzata con puntualità l’attuale normativa che regola il conferimento delle supplenze e degli incarichi annuali, la Corte d’Appello di Torino sposa le tesi dell’ANIEF e conferma che “per verificare il diritto gli incrementi periodici biennali del 2,50% […] deve utilizzarsi come parametro la prestazione di almeno 180 giorni reiterata per due anni consecutivi, e non già la durata dell’incarico fino al 31 agosto, secondo un’interpretazione restrittiva che non si giustifica né sotto il profilo formale, né sotto quello sostanziale della diversità delle prestazioni”. Interpretando la portata dell’art. 53 della legge 312/80, la Corte ritiene che “non è fondata la tesi della sua riferibilità ai soli docenti di religione affermata dal Ministero in primo grado”. Sul punto i Giudici, accogliendo le argomentazioni sostenute dall’Avvocato Rinaldi dell’ANIEF, chiariscono nuovamente che “un’interpretazione così restrittivamente intesa si tradurrebbe in un ingiustificato privilegio di dubbia legittimità costituzionale”.

La Corte d’Appello, inoltre, non ravvisando ragioni che possano giustificare la disparità di trattamento posta in essere dal MIUR ha ritenuto che “le ragioni addotte, in proposito, dal Ministero, incentrate, essenzialmente, sulla specialità del sistema normativo di reclutamento del personale docente e di assegnazione delle supplenze, che avrebbero la finalità di garantire, attraverso la continuità didattica, il diritto costituzionale allo studio e all’istruzione (artt. 33 e 34 Cost.) […] non hanno alcuna correlazione logica con la negazione della progressione retributiva in funzione dell’anzianità di servizio maturata, che corrisponde unicamente ad una finalità di risparmio di spesa pubblica comprensibile ma del tutto estranea alle “ragioni oggettive” nell’accezione di cui alla clausola 4, punto l, dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato”.

Le sei sentenze ribadiscono senza alcun dubbio, quindi, che l’ANIEF ha ragione e che “il contrasto tra le previsioni del diritto comunitario e le regole dettate dalla normativa interna speciale del settore scolastico, non giustificato da “ragioni oggettive”, deve essere risolto dal giudice nazionale in favore delle prime, in ragione della loro superiorità nella gerarchia delle fonti, attraverso la disapplicazione delle norme interne confliggenti”. Rigettate, pertanto, le vane argomentazioni del MIUR, la Corte d’Appello di Torino accerta nuovamente il diritto dei nostri iscritti a percepire l’incremento del 2,50% per ogni biennio di insegnamento prestato con contratti a tempo determinato e conferma le sentenze di primo grado ottenute dall’ANIEF che già avevano dato torto al MIUR. Le condanne alle spese del secondo grado di giudizio sono state poste tutte a carico del Ministero, nuovamente soccombente, e quantificate in un totale di circa 10.000€.

Il nostro sindacato ha sempre sostenuto che corrispondere una retribuzione che non tiene conto dell’esperienza e della professionalità acquisita nel corso del tempo è una inammissibile mortificazione della professionalità dei lavoratori precari. L’ANIEF non smetterà di far condannare in tutte le sedi opportune queste intollerabili iniquità e continuerà a denunciare con fermezza le illegittime violazioni della normativa comunitaria poste in essere dal MIUR a discapito di quanti, con sacrificio e competenza, contribuiscono al buon andamento della scuola italiana.

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