Buoni fruttiferi postali. Vanno rimborsati per intero!
I buoni fruttiferi postali hanno da sempre ricoperto il ruolo di strumento finanziario prediletto per quelle persone non inclini ad investire i propri risparmi nei mercati azionari ed obbligazionari. Al riparo dalle possibili turbolenze del mercato di capitale di rischio, infatti, i buoni fruttiferi offrono tuttora un sicuro rendimento che matura con il passare degli anni fino al termine prestabilito. Essi, inoltre, sono soggetti ad una ritenuta fiscale decisamente più favorevole (12,50%) rispetto alla tassazione prevista per le persone fisiche sull’utile di capitale (o capital gain), pari al 26% per le persone fisiche. Negli ultimi anni, tuttavia, sono sorte numerose polemiche circa l’effettiva redditività dei buoni fruttiferi sottoscritti tra gli anni ’80 e ’90. In quel periodo, infatti, migliaia di cittadini italiani si rivolgevano presso gli uffici postali presenti sul territorio per procedere all’acquisto di BFP ventennali e trentennali, appartenenti alle serie “L” “M” “N” “O” e “P”, come forma di investimento, per se o per i propri cari, per gli anni a venire. Oggi questi stessi risparmiatori vedono depauperarsi il proprio investimento poiché, al momento della riscossione dei crediti dovuti, una volta raggiunto il termine ultimo di redditività degli interessi concordati al momento della sottoscrizione, gli uffici postali riconoscono loro un interesse notevolmente inferiore rispetto a quanto dovuto (ridotto per un valore oscillante tra il 20 e 50 percento). La ragione di questa notevole riduzione è da ricercarsi nel Decreto del Ministero del Tesoro del 13 giugno 1986, conosciuto come Decreto Gava-Goria (G.U. n. 148 del giugno 1986), che prevedeva l’istituzione di una nuova serie di buoni con la lettera “Q” da parte dello stesso Ministero, avente un’applicazione di saggi d’interesse notevolmente inferiore al passato, e stabiliva che tutti i buoni postali fruttiferi delle serie precedenti fossero convertiti in titoli della nuova serie. Ai soli fini del calcolo degli interessi, in questo modo, i buoni delle precedenti serie si considerano come rimborsati e convertiti in titoli della nuova serie, con relativo computo degli interessi effettuato sul montante maturato alla data di entrata in vigore del decreto, in base alle norme di cui al primo comma dell’art. 172 del D.M. richiamato. Questa nuova serie rappresenta un vero e proprio “declassamento” di quelle antecedenti, poiché presentavano Tassi di interesse notevolmente più bassi rispetto a quelli sottoscritti al momento dell’acquisto. Il risultato di questa operazione è stata una notevole sottrazione di utili. La mancanza di qualsiasi informazione diretta ad ognuno degli investitori colpiti dal provvedimento ministeriale ha provocato l’insorgenza di numerosissimi casi di persone ignare del cambiamento delle condizioni di maturazione degli interessi. Questi, al momento della riscossione, non hanno visto rispettate le indicazioni riportate a tergo dei buoni fruttiferi cartacei sottoscritti in passato, con la conseguenza di un notevole depauperamento delle proprie condizioni economiche. Nel 2007, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in seguito i numerosi ricorsi di legittimità sorti a seguito dell’insorgenza di numerose controversie in materia, con sentenza n. 13979 del 2007 stabiliva che “nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal D.M. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori, che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono”. La Corte di Cassazione ha precisato che nella disciplina dei buoni postali fruttiferi, il rapporto tra Poste Italiane Spa e il sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta acquistati, nel rispetto delle regole generali contrattuali di diritto privato. Quindi il contrasto tra le condizioni indicate sul titolo e quelle stabilite dal Decreto Ministeriale che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali e che le condizioni alle quali le Poste si obbligano possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione. Questo orientamento giurisprudenziale ha trovato ampio seguito non solo nelle aule di Tribunale, dove tuttavia alcuni giudici di primo grado fanno soggiacere la natura particolare creditizia e privatistica del BFP a quella di mero titolo di legittimazione, ma anche delle autorevoli camere di Arbitrato Bancario Finanziario, tra le quali spicca quella di Milano che, con Decisione n. 1465 del 09 maggio 2012, richiama quanto statuito dalla sentenza delle SS.UU. sopra indicata. Essa afferma che, sebbene ai titoli come quello in esame non si applicano i principi dell’autonomia causale, dell’incorporazione e della letteralità, da cui normalmente sono contraddistinti i titoli di credito, la fonte del rapporto è pur sempre una fonte contrattuale cui sono del tutto estranei lineamenti autoritativi. Di conseguenza la possibilità di eterointegrazione del contratto deriva unicamente dallo specifico regime contrattualmente accettato dalle parti al momento della emissione del titolo (si veda anche Collegio ABF di Napoli n. 2615/2012; Collegio ABF di Milano 8 marzo 2013 n. 315/2011; Collegio di coordinamento n. 5673/2013 e ancora il Collegio di Milano n. 7437 del 7 novembre 2014). Per i titoli emessi antecedentemente a quelli di serie “Q”, per i quali troverebbero applicazione le modifiche peggiorative del Decreto Ministeriale del giugno 1986, bisogna guardare attentamente le indicazioni stampigliate a tergo dei titoli. In mancanza di apposita informazione circa la modificazione del calcolo degli interessi dovuti, qualora l’ammontare del dovuto risulti inferiore a quello previsto nel regolamento istitutivo della serie in vigore al momento dell’acquisto del buono, si applicherebbe il rendimento previsto dallo stesso titolo. Dello stesso tenore la recente sentenza n. 559 del 2015 del Giudice di Pace di Savona che ha condannato Poste Italiane a rimborsare al risparmiatore quanto effettivamente e complessivamente dovuto sulla base della tabella apposta sul retro del B.P.F.